A Causa di un Effetto

 

 

“Pertanto, essendo l’imputato Richard Simon colpevole di omicidio, in base agli articoli 314 e 314 bis del Codice Penale, io lo condanno a trascorrere in carcere il resto dei suoi anni.”

Nell’aula scoppiò il putiferio; la gente parlava ad alta voce commentando l’accaduto, i giudici in piedi si scambiavano consigli e fogli dattiloscritti. Una voce, come quella di un uomo in agonia, si elevava in quell’inferno di rumori tentando disperatamente di farsi ascoltare:

“Non è possibile! C’è uno sbaglio! E’ un maledetto equivoco!”

La voce del condannato si faceva sempre più lamentosa e insistente, ma nessuno sembrava prestargli attenzione. Richard Simon era un ragazzo prestante; alto, biondo, tipica bellezza nordica. Dal lato destro si avvicinò Damir Ogonec: un uomo sulla cinquantina, non troppo alto, dall’aspetto insignificante. Bisbigliò alcune parole all’orecchio del condannato:

“Richard, ti avevo avvertito che avresti corso questo rischio. Tutti sanno che non hai commesso alcun omicidio!”

“E allora perché diavolo mi hanno condannato? “, irruppe con violenza il giovane.

Ci furono alcuni attimi di pausa. Poi l’altro rispose:

“Per l’omicidio che dovrai commettere.”

 

 

                                                             (2)

 

I corridoi erano infinitamente lunghi e sembravano tutti uguali; l’illuminazione era fredda e ridotta al minimo. Con quei buffi elmetti di un materiale sconosciuto sulla Terra e simile al vetro, le guardie camminavano trascinando con sé il prigioniero.

Richard Simon si copriva gli occhi con le mani; si lamentava, si contorceva, ma le guardie impassibili lo conducevano lungo quegli interminabili cunicoli. Alla fine si fermarono. La porta della cella si aprì e Richard fu fatto entrare non senza fatica. Le guardie richiusero la porta e si allontanarono rapidamente.

Sembrava tutto così pazzesco in quel maledetto mondo, tanto da fargli pensare che le persone sane fossero tenute chiuse in manicomio…

Non potè trattenere un sorriso.

Più ci pensava e più riteneva che questa sua condizione era assurda. Come si può condannare un uomo all’ergastolo per un omicidio che avrebbe commesso in futuro? Aveva una voglia matta di strangolare chi l’aveva cacciato in questo pasticcio; poi, ripensandoci, era meglio deludere le loro sinistre aspettative!

Non potè fare a meno di pensare alla Terra; alla gente cui era abituato, alla giustizia terrestre che, per quanto imperfetta, non puniva un ladro prima di aver commesso il furto. Pensò alla Società Aerospaziale dove aveva trascorso alcuni anni come commissario di polizia. Ricordò i suoi colloqui con Damir Ogonec quando fu loro affidato l’incarico di cercare il pericoloso criminale Hori Novac, che si era rifugiato presumibilmente sul pianeta H6027 di Andromeda.

Damir Ogonec era uno scienziato esperto di esplorazione spaziale che per anni aveva studiato la civiltà Eamica che si era sviluppata su quel pianeta. Richard lo ricordava mentre pronunciava quelle sinistre parole che gli riecheggiavano in mente:

“I nostri primi tentativi di comunicazione con quella civiltà ci hanno gettato nel più completo sconforto. Il loro modo di parlare e di avere dialoghi con altri esseri risultò oscuro e incomprensibile, nonostante la loro lingua non fosse molto diversa dalle nostre di tipo anglosassone. Riuscimmo a scoprire, col passare degli anni, che presso di loro il tempo fluisce nel senso contrario a quello che conosciamo noi; ossia è come se regredisse invece di avanzare. Se volessimo rappresentare il tempo con una retta i cui punti sono gli istanti che si susseguono l’uno dopo l’altro, la differenza tra i nostri due mondi sarebbe il diverso senso di percorrenza della suddetta retta. In parole povere, ciò che accade su quel pianeta è il capovolgimento del principio causa-effetto.”

“Non avete avanzato ipotesi a riguardo?”, aveva chiesto Richard.

“Non ci sono spiegazioni sulla natura di tale fenomeno. Molti scienziati stanno facendo ricerche da anni; i risultati sono scadenti. Avremmo bisogno di maggiori sovvenzioni.”

“Quali effetti potrebbe avere su di noi la nostra visita al pianeta?”

“Nessuno; l’unico guaio sarebbe la difficoltà a comunicare con gli altri esseri, pertanto superabile con opportuni accorgimenti."

“Che forma hanno gli abitanti di Eamia?”

“Riteniamo che la vita sia giunta su questo pianeta in tempi relativamente recenti e che quindi si sia adattata alle strane condizioni fisico-ambientali. Esteriormente sono del tutto identici a noi.”

Quelle parole gli entravano e gli uscivano dalle orecchie, mentre i suoi occhi guardavano le foglie degli alberi del parco da una piccola finestra con le inferriate rosse. I suoi colloqui con Damir Ogonec erano sicuramente interessanti, ma la realtà era ben diversa.

Tornò a guardare verso la finestra. Accanto ad essa c’era un’enorme apertura che gli permetteva di vedere le persone che passeggiavano nel parco. E avrebbe potuto anche uscire. Come poteva essersi formata quella breccia sul muro, se non aveva sentito neppure il più piccolo rumore? Si affacciò da quel buco, guardando di qua e di là per vedere se arrivavano delle guardie. Tutto sembrava tranquillo, così si affrettò verso la più vicina uscita.

Stava camminando tranquillamente, dirigendosi verso la strada, quando, proprio all’entrata del parco, vide Damir Ogonec che stava seduto su di una panchina e gli stava sorridendo.

“Ciao! Ti stavo aspettando.”, gli fece l’amico.

“Assurdo! Come facevi a sapere che sarei fuggito?”, chiese Richard.

“L’ho letto sul giornale.”

Il volto del giovane assunse un’espressione stupefatta. Come poteva abituarsi ad un pianeta simile?

Damir lo accompagnò verso la sua automobile. All’improvviso un enorme tuono proveniente dalle prigioni invase l’aria riecheggiando dappertutto.

“Non mi dire”, disse Richard, “che quella esplosione era causata dalla bomba che ha aperto una breccia sul muro della prigione permettendomi di fuggire!”

“Proprio così.”, confermò Damir.

Richard era diventato incapace di ragionare. Entrò nell’auto pensoso e dubitante; si girava e si girava cercando di entrare nell’ordine di idee necessario per sopravvivere su quel pianeta.

“Dove stiamo andando?”, chiese.

“A procurarci la dinamite per la tua bomba!”

 

 

                                                             (3)

 

Richard Simon si avvicinò con riluttanza all’edicola. Si voltò un attimo indietro a guardare Damir che gli faceva cenno di andare avanti. La giornalaia era una signora un po’ grassoccia, dalla faccia molto simpatica. Richard si ripassò mentalmente le frasi che avrebbe dovuto dire e soprattutto l’ordine in cui doveva pronunciarle. La signora fece un sorriso largo e amichevole, poi disse:

“Trenta Crediti.”

“Quant’è?”, rispose - si fa per dire - Richard.

La donna continuò a parlare porgendogli il giornale:

“Ecco a lei!”

A questo punto Richard si affrettò a chiedere:

“Vorrei una copia del Corriere Eamico.” E quindi si allontanò disorientato dall’esperienza inconsueta. Porse il giornale a Damir e poi si diressero verso la loro camera d’albergo.

“Pensi che la polizia riuscirà a trovarci?”, chiese Richard.

“Non credo. I giornali, finora, non ne hanno parlato.”

“Le autorità terrestri non possono fare nulla?”

“No, Richard. Sai benissimo che è vietato interferire con le civiltà degli altri pianeti. In suolo alieno ci si reca a proprio rischio e pericolo. Abbiamo accettato di venire e purtroppo ci è andata male.”

“Non potremmo procurarci un’astronave?”

La nostra è stata requisita dalle autorità locali. Non ce ne sono altre: Eamia non ha ancora raggiunto lo stadio dei voli spaziali e tantomeno di quelli interstellari.”

“E allora cosa facciamo? Siamo condannati a fuggire in eterno su questo dannato pianeta? Disse Richard alzando un po’ la voce.

“No, vedrai che la Commissione Rapporti Umani Civiltà Aliene riuscirà a toglierci dai guai. Sono sicuro che stanno già organizzando la nostra fuga. Ora vedi di rilassarti, Richard, e non dimenticare il motivo per cui ci hanno spedito quaggiù.”

“Già, quel delinquente di Hari Novac…”

“Guarda!”, esclamò Damir Ogonec.

“Cosa c’è?”

“La foto di quel Novac è sul giornale. C’è un articolo su di lui… dice…ecco… dice che commetterà un furto in una gioielleria della periferia domani mattina a mezzogiorno!”

“Fantastico! Così potremo catturarlo.”

“Non credo che sarà molto facile; quel farabutto si è ambientato bene!”

“Dovremo fare molta attenzione.” Ammise Richard strappando di mano il giornale a Damir e strabuzzando gli occhi di fronte a quello che leggeva: tutti i principali avvenimenti del giorno seguente erano elencati fin nei minimi particolari. Richard gettò via il giornale e si buttò sul letto; aveva bisogno di una buona carica di energia per affrontare le nuove e sempre più incredibili sorprese che quel pianeta gli stava regalando.

 

 

(4)

 

La piccola piazza cominciava a diventare sempre più affollata; le persone camminavano come se avessero già vissuto gli eventi che si apprestavano ad affrontare; era come se si trovassero in uno stato di perenne malinconia, venivano da un passato che per loro era vuoto e si accingevano ad affrontare un futuro ben noto!

Richard e Damir stavano nascosti in un vicolo, dietro alcune casse vuote, osservando e commentando tutto quello che succedeva. Ad un tratto il suono di una sirena pervase l’aria. Immediatamente Richard pensò che dovesse trattarsi dell’allarme della gioielleria che si trovava proprio di fronte a loro, dall’altra parte della piazza.

Fu invece molto sorpreso quando vide arrivare un’autoambulanza. Due infermieri vestiti di rosso uscirono dall’auto trasportando un ferito. Lo adagiarono lentamente per terra e poi se ne andarono correndo come indemoniati. Richard e Damir si guardavano increduli.

L’uomo, steso per terra, cominciò lentamente a rialzarsi: era pieno di sangue e aveva un’aria terrorizzata e moribonda. Ad un tratto, cosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, l’uomo fece un balzo di una decina di metri. Se non l’avessero visto non ci avrebbero mai creduto! Cadde in ginocchio proprio in mezzo alla strada, davanti ad un’automobile che sopraggiungeva ad alta velocità.

L’impatto fu terribile! Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’uomo non fu catapultato via dall’auto, ma rimase lì, proprio nel medesimo punto dove era avvenuto l’impatto e, come per miracolo, tutte le sue ferite cominciarono a scomparire. L’uomo mostrava segni di sollevamento; pochi attimi dopo era in completo stato di relax e si stava lentamente allontanando dal luogo dell’incidente. Damir Ogonec ammise che era stato lo spettacolo più impressionante a cui avesse mai assistito.

In quel momento videro un uomo che usciva dalla gioielleria.

“E’ lui! Hari Novac!”, esclamò Damir.

“Presto corriamogli dietro.”

I due lo seguirono mantenendo una certa distanza.

“Damir”, disse Richard sotto voce, “mi spieghi come mai Hari non ha con sé i gioielli che ha rubato nel negozio?”

“E’ semplice, non li ha ancora rubati!”

“Cosa?”, intervenne Richard, “ma se è appena uscito dalla gioielleria!”

“Infatti, ma la rapina doveva già averla compiuta e i gioielli venduti da chissà quanto tempo… “e poi, dopo un sospiro, Damir Ogonec continuò:

“Richard, continui a dimenticare che qui siamo sul pianeta H6027 di Andromeda e che, evento straordinario, gli effetti precedono la causa!”

“Già, scusa Damir.”

L’altro gli sorrise. Continuarono ad inseguire Hari Novac, quando ad un tratto apparve la polizia.

“Fuggi, Richard!”

I due si misero a correre imbucando alcuni dei viottoli della città per cercare di far perdere le proprie tracce. Da inseguitori si trasformarono in fuggitivi.

“Come diavolo avranno fatto a trovarci?”, chiese Richard correndo.

“Probabilmente hanno letto anche loro i giornali e, sapendo che ci interessa quel tizio, hanno tratto le conclusioni.”

“A proposito di giornali”, disse Richard col fiatone, “per caso non dicono pure se ci prenderanno?”

“Non crederai che ci sia scritto tutto, vero?”

Si fermarono. I poliziotti con quei buffi elmetti non si vedevano più. Sbucarono invece da tutte le parti uomini dall’aspetto minaccioso. Indossavano abiti scuri e stavano avvicinandosi pian piano chiudendoli in trappola.

Damir, che era il più esperto della lingua locale, cominciò a parlare rivolgendosi a quello dei signori presenti che gli sembrava essere il capo. Il colloquio durava da un buon quarto d’ora e Richard cominciava a spazientirsi pensando che sarebbe stato opportuno interrompere l’amico. Dopo altri buoni dieci minuti Damir tornò dal suo compagno e riferì la conversazione.

“Ho saputo delle notizie veramente interessanti. Ho scoperto un lato della civiltà Eamica che fino ad oggi nessuno conosceva. Pensa! Questi signori che ci stanno davanti sono i ribelli Azione Armata che combattono la dittatura ad Eamia!”

“Non sapevo che ci fosse una dittatura!”, esclamò Richard.

“E non c’è, infatti. La dittatura e quindi le ingiustizie, i soprusi, la fame, la povertà e la guerriglia sconvolgeranno l’intera nazione nel prossimo decennio. Questi uomini coraggiosi lottano per una giusta causa che, però, deve ancora venire!”

“Interessante.”, commentò Richard divertito dalla strana situazione storico-politica.

“Ci chiedono”, continuò Damir, “di aiutarli ad organizzare al meglio il nuovo stato; ci daranno delle armi.”

“Per affrontare la polizia?”

“No! Non contro la polizia; devono difendersi da un alto gruppo di ribelli, l’Indipendenza Armata, che mira ad una completa e disastrosa anarchia.”

“Ti rendi conto, Damir; saremo coinvolti in uno scontro tra due bande ribelli! E’ meglio rifiutare!”

“Ti sbagli, Richard. Prima di tutto le armi ci faranno comodo e poi…credi veramente che ci lasceranno andare?”

“Forse hai ragione. Dì loro che accettiamo l’offerta!”

Richard si vedeva sempre costretto, suo malgrado, a dare ragione ad Ogonec; in un certo senso lo invidiava perché era perfettamente in grado di cavarsela su quel dannato pianeta, mentre lui, finora, era riuscito soltanto a mettersi in un mare di guai.

Damir riprese a parlare con il capo dei ribelli chiedendo maggiori informazioni e consigli. Gli furono consegnate due armi ultimo modello.

“Prendi pure, Richard.”

“Ehi, ma sono rivoltelle!”

“Cosa credevi che fossero, bazooka?”

“No, ma… da noi non si usano più da anni!”

“Questo è quanto di meglio tu possa trovare su questo pianeta per la difesa personale. Pensa, neppure la polizia possiede questo modello!”

I due seguirono il folto gruppo di uomini. Dopo diversi giri in auto nel mezzo della città e un paio di appuntamenti con loschi figuri dall’aria sospetta, giunsero in una piccola piazza, dove avrebbe dovuto esserci uno scontro tra le due bande di ribelli. Gli uomini si appostarono con tranquillità in un angolo.

Regnava il silenzio.

Ad un tratto da tutti i vicoli emerse simultaneamente un folto gruppo di persone che si andò a riversare in mezzo alla piazza. Molti si gettarono a terra: erano feriti.

La battaglia cominciò; o, meglio, quella era la fine. Si udirono spari o lamenti di persone. Non appena un proiettile colpiva qualcuno, questi che era già ferito, guariva miracolosamente. Richard e Damir dovevano, invece, continuamente stare attenti a non farsi prendere e schivare eventuali pallottole vaganti. In mezzo a quella confusione, mentre i feriti diminuivano a vista d’occhio, Damir notò un volto conosciuto.

“Richard! Là! Hari Novac!”

Il criminale si voltò e, vedendo i due terrestri, cominciò a fuggire.

Damir e Richard lasciarono la piazza dove lo scontro stava ormai volgendo al termine, per cercare di catturare Novac. Richard cominciò a sparare, ma senza risultato. Voltarono un angolo e, come per incanto il fuggitivo era scomparso.

Fu a quel punto che, sopra il gran prato che avevano dinnanzi, videro una luce che si faceva sempre più intensa. I due rimasero a bocca aperta a guardare l’enorme globo luminoso che, attimo dopo attimo, cresceva diventando più vicino. Il gioco di luci e di ombre sullo scafo, provocato dai raggi alquanto tiepidi di quel sole al tramonto, rendeva lo spettacolo davvero affascinante.

Damir si rivolse al compagno e disse:

“Sono loro! Sono venuti a prenderci!”

Ad un tratto, interrompendo quel momento di gioia, Richard si voltò imprecando:

“Dannazione! Là, un uomo che fugge. E’ Hari!”, e corse via come un fulmine al suo inseguimento.

“No! Fermati, Richard! Aspetta!”, gridò Damir.

Richard stava correndo come un pazzo. Gli fu vicino. Gli sembrò di vedere una pistola.

In quel momento stava sopraggiungendo Damir. Si udirono due colpi di pistola, secchi e micidiali.

“No!”, urlò Damir con quanta più voce aveva nei polmoni, avvicinandosi al corpo ormai senza vita del malcapitato.

“Come hai potuto, Richard!”, pianse.

Voltarono l’uomo: non era Hari Novac! Era un perfetto sconosciuto, qualcuno capitato lì per caso.

“Io…Io…non lo sapevo…”, balbettò Richard.

“Perché gli hai sparato? Era disarmato.”

Richard girò le spalle. Lasciò cadere la rivoltella.

“Io…non lo so…”

“Il processo che ti avevano fatto era giusto!”, disse Damir senza nascondere la commozione.

Il volto di Richard si fece duro. Inarcò le sopracciglia.

“…Secondo loro, io non ho ancora commesso l’omicidio…non potranno processarmi di nuovo!”

Damir lo guardò per la prima volta con disprezzo.

“Qui a Eamia no, Richard…”, poi attese e ripetè con enfasi, “Qui a Eamia no.”